UN AMARCORD PER UN UOMO ECCEZIONALE: IL PROF. EMILIO TRABUCCHI
Ann.Ital.Chir 1999;Vol. 70/6 – pag. 979-984
Ricordo di Walter Montorsi
Una mattina nella quale ero andato a fare un piccolo pianto di rammarico sulle spalle del nostro Magnifico Rettore per la sfortuna che mi perseguitava da una vita per essere nato il 16 ottobre del 1921 e, di conseguenza, per aver perso nella mia carriera universitaria sempre un intero anno accademico per i 14 giorni di differenza tra il 16 ottobre, giorno nel quale sono nato, ed il primo novembre, giorno di inizio dell’anno accademico dell’Università, perdita che a me arrivato alla vigilia del mio pensionamento sembrò pesante perché era ancora una volta il furto di un anno intero, l’ultimo che mi poteva tenere in servizio, il nostro Paolo nazionale mi lasciò francamente scioccato e stupito. Mi disse subito senza pensarci troppo, che il mio problema era facilmente risolvibile alla luce del nuovo statuto della nostra Università di Milano, che aveva anticipato proprio da quell’anno, 1998, l’inizio dell’anno accademico al primo di ottobre e non più al primo novembre. La ruota della vita, dopo 48 anni di carriera universitaria ininterrotta, si era volta a mio favore!
“Fa subito ricorso al TAR e se te lo bocceranno come è possibile, ripetilo subito al Consiglio di Stato, a Roma, dato che il nuovo regolamento è attivo dall’inizio di quest’anno accademico. Ricordi bene, mi aggiunse Mantegazza, che il vecchio Statuto aveva invece regalato per tutta la sua lunghissima carriera un anno accademico in più al nostro Maestro Emilie Trabucchi, il quale era nato, come sempre fortunato, il 2 di novembre”. Fu così che quel mattino nello studio del Rettore ci ritornò alla mente, prepotentemente, il nostro Maestro, l’uomo che si sarebbe dovuto a mio dire “imbalsamare”, se mi fosse permessa questa stupefacente battuta, perché uno uguale a lui in fatto di “bontà d’animo, di generosità, di intelligenza, di produttività e capacità scientifica, un esempio completo di ogni virtù, non sarebbe nato mai più”. Di battuta in battuta, di ricordo in ricordo, presi entrambi da una struggente nostalgia del Maestro, fiorì e si sviluppò immediatamente in Mantegazza l’idea di dar vita ad una nuova collana di monografìe della nostra Università “dedicate ai Grandi istituti dell’Università” del passato, ad esempio quello di Trabucchi, perché i giovani non perdessero il ricordo di quelle grandi esperienze di gruppo che furono gli Istituti di un tempo”.
Da questo incontro mattutino in rettorato nacque la proposta ufficiosa del Rettore di rivalutare la storia, la produttività e la filosofia di alcuni Grandi Istituti della Università di Milano, attraverso una collana monografica sponsorizzata dai singoli Dipartimenti dell’Università e scritta coralmente o per gruppo dagli allievi più disponibili. Paolo Mantegazza forse era stato colpito dalla lettura dell’autore del Gattopardo che auspicava che lo Stato chiedesse alle persone di scrivere la propria esistenza non tanto per raccontare i fatti propri, ma per invitare le persone a raccontare e a condividere con altri la propria storia e la propria esperienza. Incrociare il nostro vissuto con quello di altri può renderci infatti più consapevoli e più autentici: il racconto autobiografico o quasi risponde infatti ad esigenze personali e collettive di un mondo ora tanto suddiviso, nel quale la caduta delle diverse ideologie ha fatto perdere gran parte della coesione delle persone.
La sua idea, cioè quella del Rettore, era fondamentalmente condivisibile. Alla mia osservazione che tra i vari allievi di Trabucchi non ero tra i più qualificati per occuparmi di una impresa che raccontasse la storia della Farmacologia milanese, essendo considerato nel mondo della Farmacologia stessa, nel senso buono s’intende, come un semplice operaio del braccio, cioè del lavoro manuale come è quello del chirurgo, anche se la mia qualifica di clinico chirurgo mi aveva potuto forse far considerare ormai come “operaio specializzato”, a questa osservazione il nostro Magnifico insorse con veemenza per caldeggiare la mia inclusione di diritto tra i futuri autori della prima monografia di questa collana, citandomi due esempi per lui molto significativi.
Il primo era quello di avere io già scritto per il volume dedicato alla festa del Maestro cioè del Prof. Trabucchi, organizzata tanti anni fa dal caro William Ferrari, un ricordo brillante e dettagliato della nostra Scuola, soprattutto del suo periodo iniziale milanese, che secondo Paolo Mantegazza era fino a prova contraria la storia veritiera dei primi anni del lavoro di ricerca di Trabucchi a Milano, dal 1946 fino a tutto il decennio successivo.
Gli anni cioè nei quali la guerra era appena passata, quando le cavie per gli esperimenti le portavamo in treno da Modena la domenica sera al nostro rientro a Milano, quando all’ora del pasto di mezzo dì si mangiava solo un panino con mortadella e la sera si andava nella latteria di fronte, a prendere una tazzona di latte con tanto pane dentro cosi da far stare diritto il cucchiaio e riempire il più possibile e a buon mercato lo stomaco; quando cioè in Istituto non c’era ancora Adelmo con la sua mensa, e c’era solo Cesare come unico “bidello” tutto fare, scusate se lo chiamo ancora così. Il secondo motivo per includermi nella rosa dei possibili autori secondo Mantegazza era rappresentato dal divertimento che gli avevo procurato qualche mese prima mandandogli in lettura un ricordo, pubblicato in quei giorni, affettuoso e quasi irriverente, del mio secondo Maestro, il Prof. Guido Oselladore. “Se tu rifacessi lo stesso sforzo che hai fatto nel ricordare cosi bene Oselladore, cosa che secondo me ti ha anche molto divertito mentre lo scrivevi, e ripeti un analogo ricordo del tuo primo Maestro, il prof. Emilio Trabucchi con la stessa affettuosa nostalgia che hai mostrato per Oselladore, una parte del racconto della prima storia dell’Istituto di Farmacologia di Milano, diretto da Emilio Trabucchi, sarebbe già assicurata e potrebbe essere facilmente completata dai tantissimi altri allievi”.
Anzi “Paolo Mantegazza”, continuando a fantasticare sull’idea di questa sua iniziativa, propose e individuò nel Prof. Enzo Chiesara l’allievo capace di chiedere agli allievi di Trabucchi che sono ancora in sede di lavorare in gruppo, ai quali affidare il compito di far coagulare sotto la sua guida una accordo per la stesura di un testo. “Poi si vedrà durante il lavoro chi sarà più operativo, più utile e più disponibile. Forse, aggiunse ancora Mantegazza, bisognerà arruolare anche Cone”.
Da buon modenese ottimista all’eccesso e pronto a buttarsi subito, la sera stessa mi misi a ripensare a quegli anni cosi belli passati in via A. del Sarto, 21, a come era nata e si era formata e affermata in poco tempo, cioè dal 1947, una eccezionale covata di giovani ricercatori, uno più intelligente dell’altro, alcuni vivaci anzi vivacissimi di testa, altri pieni di parole e di battute in libertà spesso anche al vetriolo suggerite e mitigate però da una intelligenza non comune, da uno spirito di osservazione eccezionale e da un ottimo controllo di se stessi. Tutti straordinariamente meritevoli e da ricordare per un verso o per l’altro, molti unici nel loro impegno scientifico creativo, tutti pronti a riconoscere nel loro e nel nostro Maestro un uomo assolutamente eccezionale.
E dopo il ricordo dei giovani protagonisti in erba di questa Scuola che da Modena e dall’Emilia si erano trasferiti a Milano, così come avveniva anche dal Veneto, mi venivano alla mente le figure dei Professori veri, i Baroni della facoltà medica di allora, con il loro sussiego, il loro prestigio, la loro autorità smisurata, una certa arroganza, il loro potere immenso secondo il quale, ad esempio, alla fine di ogni anno accademico potevano mandare a casa, cioè licenziare in tronco senza alcun preavviso, un assistente universitario ordinario, magari anziano, com’era scritto e permesso nella legge per la cosiddetta “sconferma” degli assistenti universitari di allora.
Baroni dal nome ancora vivo come Fasiani, Foà, Rondoni, Alfieri, Cazzaniga, Bruni, Crosti, Perussia, Ciaranfi, Margaria, Giovanardi, Vigliani, Villa, Melli, Pietrantoni, Silvio Ranzi e tanti altri. I loro meriti erano tanti, ma alcune loro ingenuità e alcune piccole loro debolezze facevano sorridere i più coraggiosi tra di noi, anche se allora non si poteva sorridere “troppo” di un professore che era, in fondo, “un mito ed un intoccabile”.
Ed infine ricordi di altri Baroni, ugualmente illustri, rappresentativi di tutte le facoltà mediche italiane come G. C. Pupilli, fisiologo di Bologna, Califano di Napoli, altri direttori e creatori di enti e di istituti, managers di grandi industrie farmaceutiche ed esponenti politici di tutti i tipi che passavano in istituto per conferire con il Maestro e si facevano conoscere per quello che erano in realtà, i gestori veri del potere accademico e della cosa pubblica. Confesso che questa possibilità mi cominciava a piacere molto.
La mattina del giorno dopo la proposta di Mantegazza ero già in Farmacologia a confessarmi con Chiesara che Si disse Subito disponibile ad associarsi a chiunque degli allievi del Maestro dotato di buona disponibilità; Enzo Chiesara funzionò da quel mattino da centro operativo della segreteria per l’arruolamento degli altri autori. Pecile, Berti, Della Bella, Guzzon, Gori, Groppetti, Bertelli furono i primi ad aderire e a promettere il loro impegno. E lo studio di Chiesara, già strapieno di pile di libri e di dattiloscritti di ogni tipo, si arricchì di altro materiale: dal Policlinico di dattiloscritti gliene mandai parecchi ed in continuazione li rinnovavo.
Paolo Mantegaza benedisse l’idea di quella allegra “combriccola” di ricercatori che mostrava solo un limite nell’impegno di mettersi a ricordare il loro passato: chi lo doveva fare per primo? Come lo si doveva fare? Quale era lo stile da seguire? Quale era la libertà concessa nella forma e nello stile del ricordo? Ecco i primi problemi. I 52 “scampoli di vita vissuta” e gli altri capitoletti che mi uscirono di getto in poche settimane che costituiscono la seconda parte del volumetto, sembrarono dare un po’ l’idea al caro Emilie Mussini, nato a Sassuolo di Modena, che i diversi allievi di Trabucchi fossero o costituissero una allegra brigata di giovani in libertà, che giocherellavano con organi isolati, con animali di laboratorio, con farmaci più o meno nuovi e scopertine magari di basso livello, guidati da un uomo eccezionale, ma dedito solo alle opere di bene!
Un’idea per la verità assolutamente e storicamente sbagliata: il gruppo di ricercatori di allora di Trabucchi si costituì e si amalgamò con uno spirito di lavoro e di sacrificio immenso, e produsse sotto la guida di un Direttore eccezionale come Trabucchi una ricerca biomedica splendida riconosciuta tale in campo nazionale che internazionale. Nel suo Istituto vennero a lavorare ricercatori di tutte le razze e dal suo Istituto cominciarono a partire per l’America e per altri Paesi numerosi suoi allievi che si erano affermati e che quindi erano ricercati ed apprezzati.
Dopo la distribuzione delle prime decine di manoscritti degli “scampoli di vita vissuta tanti anni prima” ai vari allievi invitati e che si erano dichiarati interessati alla stesura della monografia sull’Istituto di Farmacologia di allora, non c’è voluto molto per me a capire che il tono ed il modo di esporre i ricordi di allora non era in Farmacologia, almeno per qualcuno, del tutto gradito e ben accetto: cominciò ad aleggiare soprattutto una certa perplessità sul come si dovesse o si potesse scrivere la storia ufficiale dell’Istituto nell’ambito del nome e con l’etichetta della Università, con un volume per giunta pagato per intero dall’Università stessa, cioè dai suoi Dipartimenti.
Lo stile dei miei scampoli di vita vissuta era in fondo libero e anche talvolta scanzonato. Mi sembrò di essere guardato con sospetto da alcuni dei farmacologi veri, forse due o tre, che avevano mantenuto, forse, una certa riserva mentale per i tanti “trabucchini” dirottati dal Direttore o da loro stessi verso materie cliniche, e magari poi giunti alla cattedra universitaria. C’era un certo disagio e molta incertezza nell’aria sul modo di scegliere il tipo di racconto nel rispetto della serietà dell’Università, nel rispetto della legittimità del suo operato che qualche scampolo metteva forse qualche volta in discussione. E lo si sentiva, nell’aria e nei pensieri di molti.
La preparazione del primo volume della collana della università dedicato all’Istituto di Farmacologia diretto dal prof. Emilio Trabucchi vedeva sempre nuovi aggiornamenti dell’indice dei vari capitoli, ma nella realtà non produceva alto che piccole variazioni solo dei titoli previsti, ma pochi erano i dattiloscritti veri, pubblicabili che giungevano a Chiesara. Il problema dello stallo – si trattava davvero di uno stallo quasi insormontabile — fu risolto d’autorità da una proposta molto semplice dello stesso Mantegazza, mediata e suggerita da Cone, Chiesara, Berti ed altri di dirottare il materiale che non rispondeva alle leggi di assoluta serietà critica di una Scuola di Patologia Sperimentale Universitaria, quale era quella con sede nell’Istituto di Farmacologia in via Vanvitelli, 32, ad un altro volume, un semplice volumetto non più sponsorizzato dall’Università, per il quale veniva proposto da Mantegazza che la relativa “responsabilità” nei confronti della legge fosse attribuita ad un solo tra gli allievi, cioè a me. Mantegazza proponeva sopprattutto che il volume contenesse un “Amarcord” affettuoso per il Prof. Emilio Trabucchi, pubblicato non più con il denaro dall’Università, ma con quello di altri sponsor che permettessero e lasciassero così la più ampia libertà di espressione e di giudizio a me e a chi avesse voluto collaborare con me con un racconto discorsivo, semplice, libero quasi casalingo, della vita di ogni giorno di quegli anni. L’accoglienza alla proposta di Mantegazza per un Amarcord del Prof. E. Trabucchi svincolato dalla Università fu positiva: la proposta infatti era intelligente nella sua semplicità, liberatoria per un certo verso e fu apprezzata da tutti. E fu accettata. Ed io ne fui lieto.
Gli allievi di Trabucchi avrebbero elaborato invece innanzitutto una monografia di tipo classico dell’Istituto diretto dal 1946 dal Prof. Emilio Trabucchi, in uno stile senza troppe licenze di linguaggio, o accenni troppo liberi, o racconti troppo giornalistici e aneddotici, nel rispetto assoluto della realtà storica della vita scientifica e di ricerca di quegli anni. Tutte le spese sarebbero stata accollate all’Università, cioè ai Dipartimenti disponibili, comprese le spese di stampa del volume che sarebbe stato, come lo è, il primo della nuova collana suggerita dal Magnifico Rettore: cioè un esempio da valutare e imitare.
Un secondo volume, in verità quello di oggi, avrebbe contenuto invece il materiale che non era considerato idoneo a queste rigide norme redazionali; il suo stile narrativo avrebbe potuto essere giornalistico o quasi familiare, con le relative licenze poetiche di rito in questi casi. Il titolo proposto da Mantegazza “Un Amarcord per un uomo eccezionale, il Prof. Emilio Trabucchi” voleva comprendere i ricordi sulla vita di lavoro e di ricerca di ogni giorno di Trabucchi e dei suoi allievi fin dagli anni di Modena, rivissuti e raccontati con grande affetto, molta sincerità e tanta nostalgia. Uno stile libero, ma efficace, forse ancora tutto allora da inventare, ma amichevole e rispettoso nella giusta misura.
Accettai cosi, prima con qualche perplessità e poi con entusiasmo, di diventare il “direttore responsabile” di questa cronaca di anni ormai lontani, che ora è diventata storia dopo cinquant’anni, mi impegnai a rispondere di persona da incosciente come ero allora, ed anche oggi mi sento tale, ad eventuali osservazioni o tentativi di rivalse per quanto sarebbe risultato scritto o male interpretato. Mi offrii di risolvere, grazie anche ad uno sponsor finanziario come la Fondazione “Prof. S. Bannò” per ricerche sul cancro del quale ero e sono presidente, la maggior parte della spesa per la stampa del nuovo volume. Accettai questo tipo di sponsorizzazione economica a condizione che ci fosse al centro del volume un Editoriale autorevole ed importante, cioè un capitolo dedicato al ricordo dei contributi davvero fondamentali che la Scuola di Trabucchi aveva dato al primo sorgere della chemioterapia antitumorale in Italia. E l’amico Enrico Mihich, ora cattedratico famoso di oncologia medica negli USA, fu il primo tra i vari allievi di Trabucchi che si erano occupati di problemi oncologici a mettersi a lavoro e a consegnare un testo completo, del tutto degno della Scuola, testo che ha giustificato la sponsorizzazione della spesa. Un volumetto considerato una “strenna” della Fondazione per il mondo esterno di potenziali benefattori ed un contributo per l’aggiornamento della bibliografia sull’argomento. Nel futuro volume sponsorizzato tutto dal Dipartimento ne compariranno altri non meno autorevoli, che lo completeranno. Una seconda condizione, fondamentale per me, fu pure accettata: avrei potuto chiedere, sollecitare ed anche “pretendere”, cosa che feci, il contributo e la collaborazione di altri allievi della Scuola di Trabucchi per dare una base concreta e completa alla legittimità e alla veridicità dei nostri ricordi e con questi la documentazione della nostra comunità lavorativa e del consenso che esiste tra di noi sull’essenza dei fatti riferiti. Ed infine una terza condizione: il mio testo sarebbe stato rivisto riga per riga nei suoi vari capitoli dagli allievi di via A. del Sarto 21, dato che la revisione del testo sarebbe stata affidata ai vari farmacologi allievi di Trabucchi che accettavano di collaborare a farla.
Con questa premessa e in questo senso il nuovo volume, che porta in evidenza il mio nome, è stato realizzato fondamentalmente con l’aiuto in primo luogo del Prof. Enzo Chiesara, e poi del Prof. Francesco Clementi, del Prof. Ferruccio Berti, del Prof. Vittorio Guzzon e del Prof. Emilio Mussini, che quasi giornalmente si prestarono a scrivere o a rivedere i vari capitoli, a sollecitare consensi ed acccttazioni di impegni, a risolvere questioni di diplomazia anche spicciola, inevitabile in un mondo di grandi ingegni e di formidabili lavoratori del pensiero e del laboratorio, non esenti da una certa suscettibilità.
Come avrei potuto fare a portare a termine la raccolta del materiale di questo volume senza il contributo prezioso di Roberto Villani, di Francesco Clementi, cioè di Dorino, di Renato Ponzoni, di M. Proto ma soprattutto di Vittorio Guzzon e di tanti altri che hanno dato serietà ed interesse anche ai miei capitoli, cioè ai miei poveri “scampoli” per i quali chiedo fin da ora ogni scusa per eventuali malintesi, incomprensioni o eccessi o bisticci di parole. Nella stesura di questi non c’è mi; stata malizia e se malizia qualcuno ha creduto di riscontrarla, questa non era tale e ne chiedo scusa.
Accanto a Chiesara, Cone, Berti e Guzzon, confesso che il nostro Rettore, Paolo Mantegazza, non tanto come Rettore, ma come allievo autorevole e più anziano della scuola di Trabucchi si è comportato con me come un fratello e si è assunto grandi responsabilità nella gestione della preparazione e della stampa del nostro volumetto. Quasi ogni mattina si è sorbito infatti Fase: della lettura dei nuovi capitoli che stavo mettendo a punto e con pazienza e tanta semplicità mi consigliava qualche correzione, magari talvolta anche di riscriverli perchè spesso qualche aggettivo non gli era risultato del tutto appropriato, si fa per dire. E dopo questa prima bastonata al far dell’alba, mi confortava mostrandomi la carota ed insisteva a dirmi che la mia esposizione era corretta, più che accettabile ed anche piacevole perché di facile comprensione, e mi aiutava a superare la leggera sofferenza per qualche critica non del tutto di buon gusto che mi veniva fatta, talvolta, quando mandavo per una prima o una seconda lettura ai colleghi della Farmacologia il testo dei miei elaborati, con l’invito pressante e sincero di non farsi alcun riguardo a rivedere e a correggere sia il senso che la lettera di quanto avevo scritto. Chi ha voluto, ha infatti potuto leggere e rivedere i testi; qualcuno ne ha proposto l’eliminazione di una parte o del tutto senza che in me sorgesse alcun anticorpo o senso di disappunto, anzi in alcuni casi provavo solo riconoscenza per i suggerimenti relativi alle correzioni e alle amputazioni che mi venivano indicate e da me subito accettate. Quindi grazie ai miei benevoli censori, diligenti e leali come Pecile, Chiesara, Clementi, Berti, Mussini, Guzzon, Emilietto Trabucchi, Ponzoni, Villani, Proto, Costa, Camillo Peracchia, T. Li, A. Lanzetta, J. Meldolesi, A. Pinelli e Alberto Miani.
Ma perché ricordo Alberto Miani, l’allievo più autorevole del Prof. Bairati, il vecchio anatomico di Milano che con Trabucchi ebbe tanti storici contrasti?
Alberto Miani è, lo potrei definire cosi, “il Trabucchi” dell’anatomia umana milanese: elegante scrittore, ottimo didatta, forbito oratore, acuto studioso dei problemi più moderni dell’anatomia umana, aperto all’introduzione nell’antico mondo della anatomia di ogni tecnica moderna che volesse rendere più proficua l’indagine anatomica; non restò mai prigioniero del mondo ristretto del suo Maestro concentrato quasi esclusivamente sull’aggiornamento continuo del suo fortunato “Trattato di anatomia umana”, indifferente o quasi al resto delle sue funzioni e dei suoi diritti e doveri di Maestro. Alberto Miani lavorò bene per assicurarsi la propria successione naturale ed apri l’istituto di Anatomia Umana a nuove leve di giovani ricercatori e all’apporto di esperti, di biologi e di laureati di ogni tipo, ingegneria compresa. Molti di questi diventarono rapidamente cattedratici come succedeva per i migliori nell’Istituto di Trabucchi: grazie alla sua gestione l’anatomia umana dell’università di Milano subì una grande accelerata e trovo grandi apprezzamenti.
Del tutto recentemente ha introdotto e voluto in Italia l’ultima nata della disciplina: F anatomia clinica, cioè il futuro della vecchia anatomia umana.
Ammiratore di Trabucchi come figura di Maestro da imitare, ne osservò gli atteggiamenti accademici, ne studiò la filosofia operativa, ne rimase entusiasta della qualità e della quantità, spesso innovativi, della ricerca della sua Scuola, cosi come della relativa produzione scientifica; fu colpito dalle continue aperture verso orientamenti nuovi e dal coraggio che Trabucchi ha avuto nel pensare, inventare, creare, far nascere e far vivere sempre nuove discipline dalla Farmacologia. Il suo giudizio da esperto e spettatore esterno di un’altra Scuola contenuto nel capitolo che porta il suo nome sul mondo della ricerca di Trabucchi in particolare e sulla sua Scuola in generale, è quindi importante per potere valutare meglio dall’esterno l’impatto dell’esempio della Scuola del nostro Maestro nella sua sede naturale, cioè a Milano.
Per questo lo ringrazio di cuore, molto affettuosamente. Riconosco però ancora una volta che nonostante questa precisazione della presa di visione collettiva del testo del nostro volumetto, la responsabilità per eventuali errori, omissioni, ingenuità varie, qualche esuberanza di espressioni è, come ha stabilito Mantegazza, mia e solo mia; se qualcosa non è stato detto con proprietà, se la suscettibilità di qualcuno è stata urtata, se il ricordo di qualche episodio è stato un po’ falsato dai tanti anni passati, se sono stato talvolta impertinente o indiscreto, talvolta forse presuntuoso, esuberante o inopportuno, la colpa è mia.
Scusatemi anche di questo e vogliatemi bene lo stesso: in fondo con questa passeggiata nei ricordi di un passato meraviglioso, di anni indimenticabili, di imprese quasi incredibili nella loro quotidianità, di interventi continui e tempestivi della Provvidenza, di tolleranza e solidarietà della Farmacologia italiana che oltre i rituali e talvolta forti contrasti accademici ammirava in fondo il prof. Emilio Trabucchi ed i suoi allievi, di apprezzamento e di coinvolgimento delle stesse autorità accademiche della nostra Università che guardavano con benevolenza la semplicità e il tipo incredibile della gestione, apparentemente disinvolta, di quell’Istituto protetto dalla Provvidenza, si può superare ogni eventuale possibile riserva sulla legittimità, sulla serietà e sulla efficienza e sulla qualità della Scuola di Trabucchi, Possiamo continuare a volerci bene, come ce lo siamo sempre VolllCO tra di noi e a stimarci reciprocamente, stringendosi attorno al ricordo della vita che abbiamo trascorso con il nostro grandissimo Maestro ed al suo immenso Istituto e Dipartimento.